Recenti studi condotti nei laboratori di Stanford hanno permesso di replicare quanto avviene nei processi di fotosintesi e di progettare fotoanodi resistenti alla corrosione dell’acqua.
Recenti studi condotti nei laboratori di Stanford hanno permesso di replicare quanto avviene nei processi di fotosintesi e di progettare fotoanodi resistenti alla corrosione dell’acqua.
Di fatto è stata creata la prima cella solare in grado di operare sott’acqua e di utilizzare l’energia prodotta per convertire la CO2 in combustibili come l’idrogeno o il metano. Con i dispositivi riprodotti in laboratorio si “copia” così il processo naturale che consente di ottenere glucosio da acqua e anidride carbonica, per mezzo dell’energia solare.
Per poter replicare questo tipo di sintesi, i ricercatori hanno dovuto sviluppare piattaforme a prova di corrosione, dato che le convenzionali celle si degradano in acqua. In aggiunta, le attuali celle con capacità anticorrosive, pur se resistenti, non sono ancora in grado di assorbire un quantitativo di luce sufficiente per gli scopi prefissati.
Tuttavia, sembrerebbe che a Stanford siano riusciti a trovare un equilibrio tra le due architetture, raggiungendo buoni livelli di stabilità e performance.
La struttura delle celle sperimentali include in più, rispetto alle celle standard, uno strato superiore di silicio carico, in prossimità della sezione all’ossido di titanio. Il device include uno strato in biossido di silicio, capace di aumentare la tensione di lavoro, oltre a un fondo in grado di assorbire le luce e a un componente frontale protettivo.
Lo studio getta le basi per le celle di domani e, secondo i ricercatori: “Entro cinque anni, avremo sistemi completi di fotosintesi artificiale che convertono i gas serra in combustibile.”