Maggio 27, 2024

Nicola Martello

In Italia molte aziende con rating ESG non sono validate

Negli ultimi anni sempre più investitori hanno deciso di implementare le proprie politiche ESG: secondo lo studio pubblicato su ESGToday realizzato da Deloitte e The Fletcher School, il 79% degli investitori ha dichiarato di avere in atto una politica di investimento sostenibile, una percentuale in netto aumento rispetto a cinque anni fa, quando era ferma al 20%.

L’indagine di livello globale, svolta tra gennaio e dicembre 2023, ha coinvolto oltre mille proprietari di asset, gestori di asset e consulenti di investimento, inclusi CEO e CIO sparsi tra Nord America, Europa e Asia, e solo l’1% degli intervistati ha dichiarato di non avere un piano di investimento ESG. In particolare i più attivi sono gli statunitensi con l’83% degli investitori che prevede politiche di investimento ESG in aumento rispetto al 27% di cinque anni fa. Gli investitori europei sono, invece, leggermente indietro e si fermano al 75%. Tra i principali motivi che spingono a integrare i fattori di sostenibilità nei processi decisionali di investimento ci sono il rispetto dei requisiti normativi (39%), il miglioramento delle performance finanziarie (36%) e l’influenza o la pressione degli stakeholder (34%).

Se da un lato gli investitori puntano su politiche sostenibili, dall’altra le aziende devono farsi trovare pronte a rispettare i rating ESG, ma da questo punto di vista i dati non sono confortanti: una recente ricerca finanziata dal Parlamento Europeo dimostra come il 70% delle aziende italiane con rating ESG non si sia sottoposte ad alcun “audit” presso le proprie sedi, essendosi limitate a far “certificare” dalle agenzie e società di consulenza le proprie stesse dichiarazioni. Una scelta questa che espone a gravi rischi reputazionali, come dimostra la grave crisi della Giorgio Armani Operation, recentemente commissariata dal Tribunale di Milano. Rischi che dimostrano come la reputazione sia un asset intangibile primario e vitale per qualunque azienda, un vero e proprio patrimonio da tutelare.

Un assessement specialistico

Per questi motivi, la start-up innovativa Reputation Management mette ora a disposizione delle imprese, da quelle di grandi dimensioni alle piccole e medie imprese, tanto diffuse in Italia e parte fondante del sistema Paese, un assessement specialistico, CompanyCheckUp, customizzabile e sartoriale, in grado di trarre vantaggio dall’analisi e dalla messa a sistema delle migliori pratiche in campo reputazionale documentate in letteratura scientifica come anche nella pratica professionale.

Giorgia Grandoni, ricercatrice del Centro studi della start-up
La finalità del progetto è quella permettere la valorizzazione concreta di decenni di esperienza maturata nel settore della gestione della reputazione e della risoluzione delle crisi reputazionali, grazie a uno strumento diagnostico facilmente e rapidamente accessibile, che consente una mappatura delle aree di forza e di debolezza sotto il profilo della reputazione dell’organizzazione oggetto di indagine, come ad esempio capacità di crisis response, gestione delle relazioni pubbliche e delle media-relation, clima interno, supply chain, punti di criticità nei rapporti con l’esterno, qualità della rendicontazione ESG e capacità dell’azienda di operare e di raggiungere la propria mission, mappando e anticipando, tra l’altro, i rischi reputazionali.

Luca Yuri Toselli, amministratore della start-up Reputation Management
Siamo certi della validità di questa proposta, che rappresenta anche un ponte tra tutte le conoscenze e competenze accumulate in tanti anni di ricerche accademiche e applicazioni empiriche nel campo della gestione della reputazione da un lato, e il mondo delle imprese dall’altro, aziende sempre più esposte al rischio di crisi reputazionali potenzialmente devastanti e in grado di danneggiare il valore degli azionisti.

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