Ollum fa notare che alla fine del 2024 ad oggi il prezzo del rame ha iniziato una rapida ascesa, passando da circa 8.800 dollari a tonnellata a inizio 2025 fino a sfiorare massimi storici a marzo. Pur non trovandosi oggi ai massimi storici assoluti, le previsioni indicano una tendenza di crescita costante, trainata da dinamiche strutturali difficili da invertire. Un’impennata che riflette un insieme complesso di fattori: pressioni geopolitiche, crisi climatica, e soprattutto una domanda crescente legata alla transizione energetica.
Tra le cause più citate, alcuni osservatori hanno indicato l’effetto dei nuovi dazi statunitensi introdotti dall’amministrazione Trump. Tuttavia, è importante chiarire che il rame è attualmente escluso da queste misure: si tratta di un metallo 100% esente dai dazi, almeno per il momento.
L’aumento dei prezzi riflette piuttosto un insieme complesso di fattori: pressioni geopolitiche, rallentamenti nella produzione, impatti della crisi climatica e una domanda in forte crescita legata alla transizione energetica.
Il rame: risorsa chiave per la transizione energetica
Il rame è uno degli elementi più richiesti per la transizione energetica: impiegato in motori elettrici, cavi, batterie, sistemi fotovoltaici e turbine eoliche.
Le sue alte proprietà conduttive lo rendono fondamentale in un mondo che punta sull’elettrico, infatti, il rame trasferisce elettricità in maniera molto efficiente, con perdite di potenza ridotte. Mentre la sua domanda cresce, però la sua disponibilità non aumenta.
Trovare un giacimento di rame sta diventando sempre più raro. Un recente report S&P Global ha analizzato 239 giacimenti scoperti tra il 1990 e il 2023, di questi, solo 14 depositi risalgono all’ultimo decennio e rappresentano appena il 3,5 % del totale in tonnellate di rame. Mentre le scoperte tra il 1990 e il 2000 rappresentano il 70 % del volume.
Inoltre, il tempo per trasformare un giacimento appena scoperto in produttivo sta aumentando sempre di più. Se negli anni ‘90 per rendere attivo un giacimento sarebbero bastati circa una dozzina di anni, oggi il tempo si allunga, arrivando addirittura a 30 anni.
Un rallentamento dovuto soprattutto a normative ambientali più stringenti e alle crescenti resistenze da parte delle comunità locali.
Meno rame e più inquinamento
Non solo i giacimenti sono più rari: le concentrazioni di rame si abbassano, costringendo a scavare di più per ottenere meno. Questo fenomeno comporta un impatto ambientale sempre più difficile da giustificare, con emissioni elevate e danni agli ecosistemi locali.
In media, per ogni tonnellata di rame estratta vengono generate circa 5 tonnellate di CO2 eq – da due a quattro volte l’impatto di una tonnellata di acciaio. A questo si aggiunge il consumo idrico: fino a 500.000 litri d’acqua per tonnellata prodotta, con picchi più alti nelle zone aride.
Saverio Lapini, CEO e Co-fondatore di Ollum
Gran parte delle emissioni proviene dalla fase di smelting, ovvero la fusione del minerale, un processo altamente energivoro ma basato su elettricità. È proprio qui che si gioca una delle maggiori leve di decarbonizzazione: se gli impianti di smelting utilizzassero energia rinnovabile, si potrebbe ridurre l’impatto del rame di circa il 30%.
Il prezzo del rame e la crisi climatica
Ma la bassa resa e la difficoltà nell’estrazione non sono le sole cause degli aumenti di prezzo. Gli effetti della crisi climatica stanno compromettendo la produttività stessa del settore estrattivo.
I principali giacimenti di rame si concentrano in aree geografiche già oggi soggette a stress idrico estremo, come il Cile, il Perù e l’Argentina. In questi territori, la siccità cronica sta rendendo sempre più difficile l’accesso alle risorse idriche necessarie per l’attività estrattiva e metallurgica. L’acqua necessaria alla produzione è un fabbisogno che in aree desertiche può essere soddisfatto solo attraverso costose tecnologie di desalinizzazione, con ulteriori impatti economici e ambientali.
E la crisi climatica non si ferma all’acqua. Eventi meteorologici estremi, instabilità idrogeologica, frane e alluvioni stanno aumentando i rischi operativi nelle miniere. A questo si aggiungono le carenze infrastrutturali, che rendono difficile adattarsi rapidamente alle nuove condizioni.
Il risultato è un settore esposto a ritardi, interruzioni della catena di approvvigionamento e aumento dei costi, con inevitabili ripercussioni sui prezzi globali del rame.
E il riciclo? Una soluzione ancora lontana
Il riciclo del rame è già oggi una leva fondamentale: la produzione da rottami copre circa il 30% della domanda globale. Tuttavia, non è sufficiente.
Nonostante gli alti tassi di recupero, la domanda trainata dalla transizione energetica – veicoli elettrici, impianti rinnovabili, reti intelligenti – cresce più rapidamente della capacità di riciclo.
Saverio Lapini
Il vero limite non è la volontà di riciclare, ma la tecnologia. Pensiamo all’ottone, che contiene fino al 60% di rame: oggi non esiste un sistema industriale efficace per separarlo da altri metalli come il piombo e recuperarlo in modo selettivo. Il rame rimane ‘intrappolato’ e inutilizzabile. Se vogliamo ridurre davvero la dipendenza dall’estrazione primaria, serve investire in ricerca applicata per sviluppare nuove soluzioni di recupero, più mirate, accessibili e scalabili. Solo così potremo costruire un’economia davvero circolare per i metalli.