Alessandro Barin, CEO di FuturaSun, commenta il programma Solar Manufacturing Accelerator, sottolineandone l’importanza per l’Europa, per la Cina e il resto del mondo.
Alessandro Barin, CEO di FuturaSun, commenta il programma Solar Manufacturing Accelerator, sottolineandone l’importanza per l’Europa, per la Cina e il resto del mondo.
C’è molto lavoro da fare, si tratta infatti di costruire una vera e propria filiera di produzione europea scommettendo il tutto per tutto in nuove tecnologie. Il programma, comunque, è un buon punto di partenza!
– Il programma “Solar Manufacturing Accelerator” permetterebbe all’Europa di tornare protagonista del fotovoltaico mondiale. In generale, qual è il suo punto di vista, valutando possibili sviluppi nel medio periodo?
La nostra è l’unica azienda italiana che produce moduli fotovoltaici in Cina, sia per il mercato cinese sia per quello europeo. Il nostro osservatorio è sicuramente privilegiato, in quanto abbiamo vissuto attivamente la crescita del mercato dei pannelli fotovoltaici in questi anni.
Questa iniziativa è, a mio avviso, interessante: è un percorso possibile da intraprendere, nonostante, in questo momento, l’Europa si trovi in una posizione un po’ “imbarazzante”. Da quando si fece strada 10-15 anni fa il mercato del fotovoltaico, con i primi meccanismi di incentivazione, l’Europa era la principale protagonista, sia per ciò che riguarda le incentivazioni, sia nell’ambito installativo e produttivo.
Nel giro di 5 – 6 anni si è trovata, invece, a svolgere un ruolo passivo, diventando unicamente un importatore di prodotti cinesi. Da qui, in 7 – 8 anni, la filiera produttiva in Cina è cresciuta in modo esponenziale, arrivando a ottenere il 75% di produzione mondiale dei moduli, superando l’Europa in modo netto, insieme a Giappone e USA.
Il vantaggio competitivo cinese è da attribuirsi principalmente alla capacità di abbattere i costi di produzione in modo deciso: un bene per il mondo, ma un fattore critico per l’Europa, che ha vissuto una progressiva e significativa riduzione della produzione componentistica fotovoltaica.
Il Vecchio Continente si trova oggi davanti a una scelta precisa: come riavviare una vera e propria filiera fotovoltaica? La mia idea è che si debba scommettere il tutto per tutto in nuove tecnologie, innovative e differenti da quelle cinesi.
– L’iniziativa è saldamente ancorata alla strategia industriale presentata dalla Commissione europea e mira a espandere l’ecosistema industriale del solare fotovoltaico in Europa entro il 2025. Quali obiettivi sono realisticamente raggiungibili nel breve periodo secondo la sua visione? Quali sforzi saranno necessari per le aziende che prenderanno parte al progetto?
Lo sforzo maggiore per gli europei sarà quello di superare l’ostacolo più grande: unire e convogliare energie e grandi risorse in una entità composta da 26 Paesi diversi, con lingue e mentalità differenti, e ricostruire una filiera partendo quasi da zero. L’Europa deve trovare una strada propria, ben distinta a livello produttivo e strategico rispetto al percorso che vede ancora oggi la Cina protagonista. Questo Paese ha avuto successo nel giro 6-7 anni, investendo molte risorse e molto velocemente: la Cina ha trasformato un prodotto, la cella PERC, che è diventato di massa, a basso costo, e di qualità media.
Nel breve periodo non immagino particolari obiettivi.
Più a lungo termine l’EU deve riattivare un’intera filiera: obiettivo che vedo realizzabile in un lasso temporale di circa 10-15 anni, presentando una tecnologia avanzata. Per avanzata intendo con efficienze il più elevate possibile e massimizzando la resa in tutte le condizioni di irraggiamento: oltre le attuali eterogiunzioni al silicio, IBC o TopCon.
Si tratta di investire in queste tecnologie che, al momento, sono sottosviluppate nel mondo: è proprio questo il momento giusto, e la giusta occasione, per ricreare una filiera produttiva che possa superare quella cinese.
Il modus operandi della Cina può essere da esempio: “scoprire” una tecnologia e trasformarla in prodotto di massa. Il mercato asiatico stesso trarrebbe vantaggio da una rinnovata concorrenza europea.
Occorrono investimenti coraggiosi per costruire prodotti innovativi ed efficienti. L’Europa ha bisogno di essere veramente “disruptive”, agevolando l’unione di forze tra le aziende che, alleandosi, potrebbero creare un vero effetto volano. Sarà necessario ricreare l’intera filiera: dai produttori di junction box, a quelli di film incapsulanti e isolanti, ribbon, vetri, coating…
– Ipotizzando l’apertura di nuove fabbriche produttive nel Vecchio Continente, quali vantaggi potrebbero derivarne per imprese e clienti finali? Quali partnership globali potrebbero emergere?
Sia per le imprese sia per i clienti finali, avere a disposizione una filiera più corta non può che essere un vantaggio competitivo per le prime ed economico per i secondi. Questo, oltre a diminuire l’impatto ambientale della produzione, grazie alla possibilità di mantenere dei costi inferiori e agevolare delle installazioni di massa.
Una simile iniziativa potrebbe far emergere delle partnership globali che amplificherebbero i risultati di un’operazione così complessa: unire aziende di diversi settori per un unico grande scopo. Dalle aziende dell’alluminio, vetro, componenti chimici, plastiche a quelle dell’assemblaggio, produzione e installazione dei moduli.
Al momento vi è tanto know-how ma poco sfruttato! Nel tempo la competenza e la volontà di mantenere vivo il mercato del fotovoltaico si sono arenate, andando “in letargo” e favorendo il mercato cinese che, nei fatti, è letteralmente “esploso”.
Spero che l’Europa colga questa occasione per una nuova “primavera manifatturiera”.
– Lo sviluppo di economie di scala e di una filiera collaudata rappresenta, appunto, un passaggio complesso da realizzare. Quali criticità principali intravede? Come potrebbero essere risolte? In che tempi e attraverso quali risorse?
Come accennavo, il problema maggiore è intrinseco alla comunità europea: 26 Paesi con lingue e mentalità differenti, è una ricchezza culturale, ma di fatto un enorme punto a sfavore. Vi sono Governi diversi, con altrettante agende e provvedimenti differenti: manca una linea comune, oltre agli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni.
Sarebbero necessari dei fondi specifici per le energie rinnovabili con l’obiettivo di far ripartire un’intera ‘flotta’ delle FER in modo importante e i tempi non sono brevi. Si deve lavorare sull’innovazione tecnologica e sull’ideazione di un mercato nuovo, completamente rinnovato rispetto al passato, nella speranza anche di ovviare agli effetti negativi che la pandemia ha giocato in tutta Europa ancor più che in Cina. Non solo, anche a livello legislativo sarebbe necessario abbattere le lungaggini burocratiche e limitazioni di vario genere.
Sono molto ottimista riguardo le nuove tecnologie in studio: potrebbero davvero “fare il salto” di qualità in termini di efficienza dei moduli e dare una sterzata all’intero settore. Ma è necessario fare di più e farlo velocemente, e con costi accessibili e ampia disponibilità, poiché la Cina potrebbe superare ancora una volta l’Europa in questo senso. A fronte di un mercato che tra qualche anno potrebbe essere saturo, la Cina potrebbe avviare un nuovo veloce progresso in campo tecnologico e continuare a farla da padrone. Se l’Europa pensasse di sviluppare solo delle nicchie ad alto costo, come quella del BIPV, darebbe un messaggio di resa e sprecherebbe solo ingenti risorse.
– Come azienda italiana che produce direttamente in Asia, quale contributo può offrire FuturaSun allo sviluppo del programma “Solar Manufacturing Accelerator”?
FuturaSun è sempre stata promotrice di una nuova filiera europea del fotovoltaico. Possiamo condividere la nostra esperienza sia a livello manifatturiero sia di approvvigionamento delle materie prime della filiera del modulo.
Abbiamo creato una nuova linea di assemblaggio moduli e potremmo indicare quali sono gli errori da evitare. FuturaSun potrebbe certamente avere un ruolo in Europa, forte dell’esperienza del mercato cinese, ancora da protagonista. Una nuova filiera europea non ci danneggerebbe, anzi sarebbe ideale per spingere ancora di più il progresso tecnologico anche in Cina e in tutto il mondo, rendendo questa nuova tecnologia disponibile a un numero sempre maggiore di persone.
Se fossimo anche noi protagonisti di questa iniziativa potremmo continuare a prosperare nell’immenso mercato cinese e del Sud Est Asiatico ed essere anche parte attiva nei contesti europei, per l’Europa.
Solo con grandi investimenti gli obiettivi di decarbonizzazione e riduzione delle emissioni potranno davvero essere centrati in Europa e nel mondo.
Non solo il Vecchio Continente, quindi, anche gli Stati Uniti sono in una buona posizione e sarebbero favoriti da questa ipotetica nuova filiera europea.
In USA vi sono molti laboratori che potrebbero offrire tecnologia all’avanguardia a costi accessibili.