Baywa.r.e. commenta l’impatto ambientale di un impianto fotovoltaico, cercando di fare chiarezza e sfatare falsi miti.
Baywa.r.e. commenta l’impatto ambientale di un impianto fotovoltaico, cercando di fare chiarezza e sfatare falsi miti in un articolo sul proprio blog.
La transizione energetica è in atto insieme al processo di decarbonizzazione, da un lato certamente vi sono le azioni intraprese a livello internazionale e dei singoli governi dei Paesi, ma dall’altro vi è certamente una consapevolezza maggiore delle persone.
Sempre più famiglie e imprese abbracciano uno stile di vita, e di consumo, sostenibile, dalla mobilità elettrica alla gestione dell’approvvigionamento energetico. A farla da padrone è di certo il fotovoltaico: grazie a costi in continua diminuzione, il modello convince la comunità intera e sembra essere la strada giusta da percorrere per un mondo più sostenibile, a partire dal ‘piccolo’ dell’ambito familiare fino a impianti commerciali e industriali. Si tratta, infatti, di sfruttare appieno una fonte di energia (quella solare) inesauribile, produrre, immagazzinare e utilizzare l’energia quando effettivamente serve, e trarne tutti i benefici correlati a livello economico e a livello ambientale.
Carbon footprint del fotovoltaico
Per valutare l’impatto di un impianto fotovoltaico, secondo Baywa r.e., si devono considerare e analizzare alcuni fattori. In prima battuta, la carbon footprint. “Da un lato è impossibile non avere un’impronta di carbonio – almeno negli step iniziali, ovvero quelli relativi alla produzione dei pannelli fotovoltaici – dall’altro bisogna considerare la quantità di energia prodotta da tali pannelli nel loro ciclo di vita. Da questo rapporto è possibile avere un quadro sull’effettivo ritorno energetico”. Ma l’impronta di carbonio relativa al fotovoltaico è in diminuzione, come conferma il Photovoltaics Report del Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems, grazie agli enormi progressi in ambito tecnologico nella produzione dei pannelli solari; infatti “si è passati da 400-500 g/kWh di carbon footprint per la produzione di pannelli fotovoltaici negli anni ’70 a circa 20 g/kWh per quelli di oggi”. Si è ridotto progressivamente il costo energetico per la produzione dei pannelli, aumentandone la capacità e le performance: le garanzie sui prodotti si estendono a 25-30 anni, e, pur con ridotte capacità, secondo Baywa r.e., un impianto può “produrre energia pulita fino a 40 anni”.
Non solo, anche il mito delle materie prime rare viene sfatato: il silicio, l’elemento più impiegato, compone il 27,7% della crosta terrestre ed è il secondo elemento più presente in natura dopo l’ossigeno.
Riciclo e smaltimento
Secondo Baywa r.e., “il tasso di riciclo di pannelli solari a base di silicio si attesta sul 95%, dunque i rifiuti prodotti a fine vita sono estremamente bassi”. Si possono recuperare diversi materiali, come per esempio: vetro, alluminio, rame, argento e silicio. ENEA, su questa linea, ha brevettato un processo di recupero dei principali componenti di un pannello solare in silicio cristallino: “un trattamento termico mirato e dallo scollamento “a strappo” degli strati dei moduli”.
Vi sono anche dei costi di smaltimento dei pannelli previsti dal GSE, ma che si eludono qualora si sostituiscano completamente i moduli che vengono ritirati dall’installatore.
Come detto, l’impatto zero di per sé è impossibile, ma il ciclo di vita e le performance di un impianto fotovoltaico ne restituiscono l’impronta, oltre a confermarsi quale migliore fonte di energia che consente un risparmio reale in bolletta e, non di meno, un impatto ambientale positivo.